
01 Ott BAMBINE
BAMBINE
un melologo
dal racconto di Alice Ceresa
(La Tartaruga edizioni)
con Evelina Rosselli e Giada Ferrarin
ideazione e messa in scena Michela Cescon
cura dello spazio scenico e costumi Caterina Rossi
musiche originali Giada Ferrarin
fonica Federico Mezzana
produzione PAV nell’ambito di Fabulamundi
in collaborazione con Teatro di Dioniso
con il contributo del MiC – Ministero della Cultura e della Regione Lazio
04/10/2025 | Ex Mercato di Torrespaccata
dal 7 all’8/10/2025 | Teatro Tor Bella Monaca
12/10/2025 | Teatro La Fenice di Arsoli
dal 16 al 19/10/2025 |Teatro Biblioteca Quarticciolo
24/10/2025 | Sessantotto di Latino
31/10/2025 | Teatro Manlio di Magliano Sabina
“Occorre disegnare, per incominciare…”
Inizia così Bambine, il lungo – e ultimo compiuto – racconto di Alice Ceresa, uscito nel 1990 per Einaudi. Una delle più grandi scrittrici della seconda metà del ‘900 e insieme la più sconosciuta e ignorata. Apprezzata e incoraggiata da Calvino, Manganelli, Pavese e dalla Ginzburg, di lei abbiamo edite poche cose, che lasciano però senza fiato. Riluttante a pubblicare per una severa autocensura e sensibile ad ogni sfumatura, consegnava solo quando, leggendo e rileggendo, la sua prosa le sembrava avesse superato “quel rumore di fondo”, come chiamava lei l’imprecisione, che tanto la disturbava. Nell’Archivio svizzero a Berna, dove si possono trovare i suoi manoscritti, ci sono infatti non pochi inediti che portano il fascino di una scrittura carica di energia e coraggio, che tratta con ossessione ripetuta fondamentalmente due temi: la condizione femminile e l’istituzione famigliare.
Bambine è la storia di “una piccola famiglia, un nucleo sottovuoto”, il destino di due sorelle, due “piccole donne”, di cui non sapremo mai il nome, osservate tra le mura domestiche, dall’infanzia fino all’adolescenza, e assoggettate alle dure leggi della famiglia, per diventare, ma con modi diversissimi (la più grande per assimilazione di modelli, la più piccola per dissenso e trasgressione), due entità autosufficienti e separate. Un racconto/esame, preciso e ferocemente ironico, quasi da entomologa, di quel fenomeno incomprensibile e necessario che sono i legami famigliari. Per la Ceresa niente risulta scontato, niente risulta ovvio, in un compito immenso: quello di ripensare le radici dell’esistenza femminile.
Ceresa scrive per immagini, per frammenti visivi pagine vorticose, ironiche in un italiano tutto suo, che viene proprio dall’intelligenza. Nata in Svizzera avrebbe potuto scrivere in tedesco, in francese, ma lei sceglie l’italiano, forse perché poi si rifugia a Roma e, come scrive Patrizia Zappa Mulas nell’ accurata introduzione all’edizione de La Tartaruga del 2004, il suo “è un italiano in bianco e nero”. Un linguaggio stupendo, personale che mi ha lasciata incredula, quando l’ho incontrato alcuni anni fa. In scena due giovani e talentuose artiste che ci condurranno attraverso il racconto scambiandosi continuamente voci e suoni. Un’attrice e una musicista giocheranno tra loro arricchendo la scrittura della Ceresa con tutte le loro abilità, per far ritornare le atmosfere, le sensazioni, i personaggi, i luoghi e l’ironia di cui Bambine è ricca. Un melologo per un tributo a questa autrice meticolosa e destabilizzante, una scrittrice che ricerca e che esplora. Ed è eccitante trovarsi tra le mani un materiale così prezioso sapendo che è uscito da una donna che artisticamente ha accettato e sopportato la libertà di un percorso artistico volutamente di solitudine.
– Michela Cescon

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